
ARTICOLO DEL 02.12.2024 [Tempo di lettura: 4 min.]
A cura di Federico Pasqualoni
Il mondo delle società sportive e degli allenatori
In questo articolo parleremo del mondo che mette a disposizione gli spazi e le persone necessarie ad ogni giovane atleta per praticare la sua disciplina.
In relazione agli obiettivi che il contesto sportivo si pone e alla filosofia che guida il loro raggiungimento, ogni club adotta una politica diversa e crea un ambiente a sé, composto da allenatori, dirigenti e da tutti gli addetti ai lavori.
Come abbiamo già visto nell’articolo sul legame tra cultura e sport, il contesto culturale influenza i comportamenti delle figure educative che ricoprono ruoli nel mondo dello sport giovanile.
Quando il contesto sportivo segue lo schema classico contemporaneo, mettendo in priorità i vantaggi d'immagine ed economici, cessa di ricoprire il suo ruolo primario, ossia quello di educatore.
A quel punto diventa difficile continuare a interessarsi di trasmettere i veri valori formativi dello sport, e si innescano meccanismi che impattano negativamente sul percorso dei giovani.
Non può funzionare, in ottica educativa, un contesto sportivo giovanile in cui i risultati di campo sono prioritari.
Chi conosce lo sport non fraintenda: le vittorie sportive vanno ricercate anche nei contesti giovanili, ma non prima di aver assicurato le condizioni per la crescita personale.
Agonismo esasperato
Una caratteristica dei contesti che sbagliano approccio, è l’impostazione troppo alta dei livelli di agonismo, ai quali i giovani sono sempre più intolleranti, poiché riducono il desiderio e l’agio di esprimere serenamente sé stessi.
Con il termine agonismo ci si riferisce ad una dinamica sociale propria dello sport - come anche del tessuto sociale, economico e artistico - che si lega al riconoscimento, alla stima e alla soddisfazione.
Si differenzia dalla competizione, una dinamica naturale figlia di un impulso che trova radice in un meccanismo biologico presente anche in altri animali.
Nella competizione (dal latino cum petere, dirigersi verso, cercare), l’istinto a ricercare il confronto con i simili, porta a mettere in campo le proprie competenze (dalla stessa radice) e a lavorare sull’auto-affermazione.
L’agonismo è invece un fenomeno indotto: i suoi livelli si relazionano all’oggetto per cui ci si batte (dal greco agōnismós, lotta).
Pertanto, il contesto sportivo giovanile può limitare o innalzare i risvolti positivi che il “competere” è in grado di generare, condizionando i livelli di agonismo.
L’agonismo esagerato proprio di molti contesti, è scaturito dalla ricerca spasmodica e frettolosa di risultati oggettivi, ed è responsabile della creazione di un ambiente che riduce la libertà di esprimersi, che condanna l’errore, e che trasforma i momenti divertenti in negativamente stressanti. Non il porto sicuro in cui è possibile emergere.
I limiti di una sola identità
Spesso nei confronti del giovane atleta, il contesto sportivo adotta un approccio che limita lo sviluppo di altre passioni. All’interno dell’ambiente, il messaggio veicolato al giovane è che il percorso sportivo è l’unico e il più importante da seguire, se si vogliono raggiungere dei buoni risultati.
Di fatto, l’adolescente che ‒ per sua indole o per spinta famigliare ‒ ha anche delle passioni diverse oltre lo sport, è spesso portato a reprimerle, nasconderle o a non condividerle con gli altri.
Questo perché, la ricerca di affiliazione e adattamento, soprattutto in giovane età, rende paurosa la fuoriuscita dagli schemi imposti dal gruppo di riferimento.
È invece l’atto di dirigersi contro le tendenze a rendere speciali: portare avanti più percorsi differenti tra loro ‒ accademici, sportivi o di qualsiasi altra natura ‒ permette al giovane di scoprire la sua singolarità.
In relazione al rapporto sport-scuola, spesso è proprio il contesto sportivo a non riconoscere l’importanza e il valore del percorso di studi, utile invece sia per continuare a ricevere stimoli in un contesto sociale reale, sia per ampliare le conoscenze e le possibilità di scoprire le proprie diverse qualità.
Quando le figure sportive si disinteressano all’andamento del percorso scolastico dei giovani ‒ pretendendo enormi sacrifici di tempo e ponendosi quindi in competizione con la scuola ‒ viene fatto loro un assist per gettarsi unicamente sullo sport, perché difatti li diverte di più.
E’ un invito altamente rischioso: lo Sport direzionato unicamente verso l’imbuto del professionismo ‒ in cui statisticamente solo pochi, bravi e fortunati, possono entrare ‒ impedisce ai giovani di vederne l’utilità che rimane a prescindere, e di percorrere le altre infinite possibili e altrettanto valide vie.
O solo sportivo, o solo tutt’altro, viene detto loro.
È chiaro quindi che, come abbiamo visto per la scuola, anche il club è responsabile della creazione immaginaria del bivio davanti al quale si è costretti a scegliere.
È proprio in relazione all’identità che il contesto sportivo deve ‒ anche in ottica di miglioramento della performance ‒ evitare che il giovane si identifichi totalmente nell’essere-atleta. Attribuire troppe responsabilità al percorso sportivo fa vivere di conseguenza in pessimo modo la competizione.
Esclusione dei meno pronti
Un’altra dinamica frequente, soprattutto negli sport di squadra, è che spesso, gli allenatori, con l’obiettivo di vincere in vista di risvolti personali e professionali, tendono a dare più spazio ai profili che al momento della scelta degli schieramenti reputano più pronti a generare risultati.
Egli, soprattutto, dovrebbe essere consapevole del fatto che pochissimi giovani atleti diventeranno dei professionisti, come d’altronde pochissimi allenatori.
Dovrebbe sapere bene che l’imbuto è molto stretto, e nella maggior parte dei casi non si riesce ad emergere, nonostante si possa pensare di meritarlo più di altri.
Invece, spesse volte, è l’allenatore stesso a non essere consapevole di tutto ciò, finendo per cercare e pretendere ‒ da sé stesso e dagli atleti che allena ‒ soltanto i risultati oggettivi.
Questo approccio è adottato anche quando non si allenano gruppi di élite, in cui ciò potrebbe essere richiesto e anche accettato da tutti i coinvolti.
Simili scelte privano così i profili ritenuti “indietro” dell’opportunità di competere, e quindi di crescere grazie al confronto agonistico ‒ come individui e come atleti ‒ proprio perché ormai sembra essere scomparsa la capacità di attendere le diverse tempistiche di maturazione psico-fisica e vedere negli errori un potenziale di crescita.
Un contesto sportivo giovanile che favorisce la nascita di sentimenti di esclusione e inadeguatezza nel giovane, è da considerare antisportivo.
La domanda allora è questa: se i risultati sono arrivati a discapito della corretta educazione del giovane ‒ e quindi fallendo l'obiettivo primario che la sua natura gli impone ‒ la società sportiva giovanile può davvero ritenersi soddisfatta?